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Gli
inizi
La
nostra comunità affonda le radici nei primi
gruppi di donne che arrivarono in Italia da El Salvador
tra la fine degli anni sessanta e la prima metà
dei settanta e si stabilirono nella zona compresa
tra Gallarate e Varese, lavorando come collaboratrici
familiari.
Proprio a Gallarate incontrarono il primo sacerdote
italiano (un padre somasco) che si prese cura di
loro, aiutandole a trovare lavoro e offrendogli
un po' di attenzione pastorale.
In seguito, furono alcune delle famiglie stesse
presso cui lavoravano a prendersi a cuore la loro
situazione e ad ottenere per loro uno spazio presso
il Centro della Gioventù parrocchiale, affinché
potessero riunirsi e celebrare "alla salvadoregna"
alcune feste o ricorrenze.
Ben presto però la guerra civile scoppiata
nel nostro paese produsse un cambiamento decisivo
nella vita di queste persone che soffrivano a distanza
la sorte dei loro cari, amplificata dall'angoscia
di non poter avere sempre notizie in tempo reale.
Fu allora che alcune delle signore presso cui lavoravano,
mostrando un'inusitata sensibilità per la
loro situazione, si attivarono nell'aiutarle a far
venire i loro parenti.
La vita delle immigrati quindi si complicò,
ma ciò costituì anche lo stimolo per
un autentico salto di qualità: la sofferenza
e la preoccupazione si trasformarono, infatti, in
una decisa presa di coscienza sulla realtà
del proprio paese e sulla necessità di fare
tutto il possibile per aiutare quanti erano rimasti
in patria. In altre parole: bisognava organizzarsi!
Nel frattempo, a Milano, per iniziativa del Card.
Martini, era sorta in via Copernico 1 la Segreteria
per gli stranieri e anche lì si incontravano
alcuni salvadoregni insieme ad altri due sacerdoti,
don Augusto Casolo e don Nunzio Ferrante.
Anche in questa sede, oltre ai doverosi momenti
di festa, la vita di fede era sempre più
segnata dalla preoccupazione delle notizie che arrivavano
da casa: violenze, sequestri, sparizioni, omicidi.
La
fondazione
Nel
1986 poi, vennero finalmente convocati tutti i salvadoregni
residenti in Lombardia per fondare una Comunità
Salvadoregna a Milano. La diocesi mise quindi a
disposizione dei nostri connazionali un'équipe
di studenti di diritto perché gli aiutassero
nella stesura degli statuti, che vennero firmati
il 4 dicembre 1984. Attraverso le prime elezioni,
Deidamia Morán fu eletta presidente della
neonata "Comunità Salvadoregna Movimento
di Solidarietà e di Cultura".
Gli obiettivi che si diede quel primo gruppo di
fondatori furono così espressi negli articolo
4 e 5 dello Statuto:
"Art 4. La Comunità Salvadoregna intende
contribuire alla tutela, al potenziamento e alla
diffusione dei valori umani, spirituali, civili,
sociali, culturali ed economici di El Salvador,
nonché il rafforzamento dei vincoli di solidarietà
tra i Salvadoregni, in particolare presenti in Lombardia,
operando per rafforzare i legami fraterni e di solidarietà
con i Salvadoregni nel paese d'origine. [
]
Art 5. Operativamente la Comunità si propone:
- di promuovere fra i salvadoregni l'abitudine a
riconoscersi, vedersi, ritrovarsi quante volte il
più possibile.
- di promuovere fra i salvadoregni, e fra i simpatizzanti
della Comunità, più altri gradi di
solidarietà, sia quantitativamente, sia,
in special modo, qualitativamente, in tutti i campi
possibili: la casa, la cultura, il lavoro, lo sport,
il folklore, le arti, la musica, gli hobbies e altri.
- di promuovere fra i salvadoregni e fra i simpatizzanti
della Comunità il conseguimento di un elevato
grado di istruzione e conoscenza".
Gli anni '80
Nel corso degli anni '80 a causa della guerra giunsero
da El Salvador anche un gran numero di uomini, a
cui però il mercato del lavoro italiano non
offriva adeguate possibilità d'impiego. Di
fatto erano le stesse delle donne, vale a dire ruoli
di collaborazione domestica presso alcune famiglie.
Ciò creò non pochi problemi di frustrazione,
perché la distribuzione dei compiti in base
al genere è un elemento fondamentale nella
nostra cultura, che in taluni casi sfociarono persino
nell'alcolismo, nella droga e in atti di violenza
sessuale.
A livello comunitario intanto, grazie all'intesa
tra il nuovo cappellano padre Ferdinando Colombo
(frate cappuccino) e il gesuita padre Ludovico Morell,
fondatore del Centro sportivo Schuster, dal 1989
la comunità si è trasferita presso
il Centro stesso, ubicato in via Feltre 100 (oggi
via P. Morell, 2) a Milano.
La nascita della
Cappellania Generale dei Migranti
Dal
marzo dell'anno 2000, infine, la diocesi ha trasformato
la Segreteria per gli stranieri in un vero e proprio
organismo di Curia, denominandolo Cappellania Generale
dei Migranti e affidandolo alla direzione di don
Giancarlo quadri, responsabile ultimo delle diverse
cappellanie etniche, che segue mediante l'aiuto
di cappellani del medesimo gruppo etnico oppure
italiani.
Oggi
La
composizione dei flussi oggigiorno è invece
più variegata: se da un lato, infatti, continuano
i ricongiungimenti familiari, dall'altro ogni giorno
arrivano persone nuove, soprattutto giovani, senza
distinzione di genere e nemmeno progetti ben definiti.
Anche per questo vanno aumentando i casi di dipendenza
alcolica o da stupefacenti, la violenza e tra le
ragazze le maternità non volute.
Secondo dati non ufficali, i salvadoregni in Italia
sarebbero oggi 45.000, il 90% dei quali stanziato
al nord, prevalentemente in Lombardia (Milano, Brescia,
Como e Varese) e Piemonte (Torino) e proverrebbero
dai Dipartimenti di Chalatenango, La Paz, Sonsonate,
La Libertad, San Vicente, Cuscatlán e San
Salvador.
Al momento, nel registro del Consolato Generale
di El Salvador in Milano sono iscritti quasi 12.400
salvadoregni, distribuiti nelle principali città
delle regioni settentrionali e principalmente nella
Provincia di Miano.
Poichè secondo i dati ufficiali dell'ISTAT,
al 31 Diciembre 2010 in Lombardia e Piemonte erano
residenti rispettivamente 6.956 (4.427 donne e 2.529
uomini) e 438 (280 donne e 158 uomini) salvadoregni
con regolare permesso di soggiorno, ciò significa
che circa la metà dei salvadoregni registrati
presso il Consolato non ha una documentazione definita.
Gran parte di queste persone trova occupazione nei
medesimi campi: autisti o portinai gli uomini; baby-sytter,
badanti o conf l donne.
Naturalmente, come sempre avviene in questi casi,
costituendo la parte più fragile della società,
la crisi e l'insicurezza lavorativa si sono riversate
prevalentemente su di loro.
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